Il NO necessario per ripartire!

Buona estate a tutte e tutti.   A quelle/i che partono e a quelle/i che restano perché non hanno il lavoro e manca il denaro.   Dal 15/7 per due settimane questo blog sarà muto: sono uno dei fortunati che può andarsene.  Vado a riposarmi per poi tornare…

Vi lascio una riflessione.  E’ la parte iniziale dell’editoriale di Fausto Bertinotti dell’ultimo numero di Alternative per il socialismo.  Mi piace molto, ci credo molto, è una riflessione che ho avuto l’occasione di condividere con lui recentemente, così l’ho fatta mia.

marco sansoè

 

No. Credo sia necessario, nel tempo presente, reimpadronirsi del no di Jean‑Paul Sartre, il no che ti consente di esistere contro l’aria del tempo, la quale è persino qualcosa di più del pensiero unico. Quel no che è il fondamento ultimo dell’autonomia dal potere costituito, dal sistema; un no che è necessario ora che l’aria si fa irrespirabile, quando il peggior capitalismo conosciuto ha dalla sua una nuova dogmatica eretta sulle rovine di tutte le altre ideologie, la dogmatica della capacità di autoregolazione del mercato, una dogmatica così forte e pervasiva da restare egemone nei governi europei e nelle maggioranza politiche che li sostengono o che si candidano ad esserlo, anche quando essa è totalmente falsificata dalla dura realtà dei fatti.

Quando le grandi costruzioni politiche del movimento operaio che avevano alimentato la contesa storica del Novecento tra sfruttati e sfruttatori, in Europa, vengono meno, quando l’intera costruzione non è più in grado di proporre un’alternativa di società, né di essere realmente, concretamente, incidente sulla quotidiana vita delle persone, né sulle grandi scelte di società, allora è il momento di far valere il no sartriano. Se il sistema ti vuole ridurre a individuo, secondo la formula thatcheriana secondo cui la società non è niente perché il mercato e l’individuo sono tutto, prima che quello ci riesca, la persona che non è ancora ridotta a individuo mercificato (ma può mai esserlo?) può buttargli contro il suo rifiuto, il suo no, che già così, per rispetto a cosa e a chi è formulato, interpella l’altro da sé.

Credo si debba riconoscere che questo rifiuto, questo “non ci sto” possa prendere una connotazione più etica che politica. Non credo che la cosa debba sorprendere del tutto; quando una formazione economico‑sociale, qui il capitalismo finanziario globalizzato, per mantenersi, produce una crisi di civiltà, il rifiuto stempera il confine tra etica e politica, mentre propone un interrogativo di fondo sul senso e sul significato della vita umana, a partire dall’attività sociale primaria nella modernità, il lavoro. Il no diventa, in questo caso, il presupposto necessario alla ricostruzione di un pensiero critico e una base imprescindibile dello stesso agire collettivo, della critica pratica sociale. Si capisce meglio, impugnando il no, la genesi degli “indignati”, il loro protagonismo, l’interesse che muovono.

…E’ il no che marca una irriducibilità al potere e al sistema che ti vorrebbe sovrastare e inglobare, non è il rifugio in un gorgo individualista, essa apre una possibilità (una possibilità, ben inteso, non una realtà già manifesta), la possibilità cioè di incontrare una analoga domanda di diritti in chi ti è conosciuto, prossimo, simile, ma anche, in questa determinata condizione storica, la possibilità di riaprire la questione della formazione della coscienza di classe.

Fausto Bertinotti

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