Per un reddito minimo garantito, …di Antonio Baldo

precarietàora stop 2006Pubblichiamo un recente contributo, di Antonio Baldo, al dibattito sul salario minimo garantito o reddito di cittadinanza o reddito di dignità o reddito di base incondizionato.   Definizioni che non vogliono dire proprio la stessa cosa, che si muovono da analisi anche diverse e che hanno spesso intenti diversi ma che pongono gli stessi problemi: come affrontare la strutturale riduzione del lavoro nelle società “a capitalismo avanzato” (come la nostra)? come sostenere i giovani permanentemente o sostanzialmente fuori dal mercato del lavoro? ecc…

Proviamo a sottrarci alle chiacchiere ideologiche o di schieramento, insomma, proviamo a uscire dalla superficialità ignorante nella quale si è avviato, ancora una volta, questo dibattito.   Proviamo a utilizzare il “rallentamento” estivo per riflettere su questioni che non possono essere semplificate in nome di ideologie che ribadiscono la “centralità del lavoro” o il suo superamento!

Vorremmo offrire un’opportunità per avviare un’analisi sui mutamenti strutturali della società contemporanea in materia di lavoro, di produzione di ricchezza, di tempo di lavoro e di tempo liberato   

Abbiamo già pubblicato due interventi nei mesi passati che possono aiutare a capire e a ragionare…

https://lacittadisotto.org/2015/12/13/lavoro-rivendicare-una-radicale-riduzione-dellorario-lavorativo-di-agostinelli-e-ravasio/

https://lacittadisotto.org/2013/08/07/una-proposta-alternativa-di-politica-economica/

Sappiamo che non è facile abbandonare visioni radicate nella cultura della società capitalistica del ‘900. E siamo convinti che non sia percorribile, immediatamente, un’unica strada.  Ad esempio crediamo che qualsiasi discussione sul reddito non possa prescindere da una proposta di riduzione generalizzata del tempo di lavoro, quindi dell’orario di lavoro.

Ma i problemi sono tanti e il tempo per affrontarli è davvero poco. Crediamo che porre al centro il binomio lavoro/reddito (così come quelli tempo di lavoro/tempo liberato e sviluppo/decrescita) sia obbligatorio e urgente e che possa essere il banco di prova per qualsiasi movimento che voglia radicarsi nella società profonda!

 

Per un reddito minimo garantito   di Antonio Baldo

Seguendo Gunnar Myrdal (1), prima di qualsiasi argomentazione è opportuno chiarire definizioni e premesse che si danno per scontate. Riguardo all’Italia, essenziali – anche se non uniche – sono le seguenti.

  1. Esiste una pesante ideologia che considera il lavoro = occupazione retribuita come principale fattore di dignità/identità personale e di cittadinanza e che ha permesso la convergenza delle visioni marxiana, cattolica e liberale sull’articolo 1 della nostra Costituzione. Oggi, un crescente numero di persone pensa che il lavoro non esaurisca il possibile contributo della persona alla società.
  2. La quantità totale di lavoro richiesto dal mercato tende a diminuire. Il fattore decisivo è l’accelerato progresso tecnologico, con l’aumento della produttività = produzione/lavoro. Finora, tale aumento è derivato dalla crescita del numeratore, che sta già trovando limiti di sostenibilità economica e ambientale. Il (positivo) aumento di produttività conseguirà sempre più dalla diminuzione del denominatore, in un quadro in cui – per convinzione o per costrizione – i miti del consumismo e della crescita subiranno attacchi sempre più decisi, fuori dal mantra “bisogna creare lavoro”.
  3. Qualunque nuovo assetto economico-sociale non potrà prescindere dal garantire, insieme, accettabili livelli di sicurezza e libertà di scelta, di fronte a diseguaglianze che oggi sono in forte crescita.

Se si accetta l’idea di un’occupazione totale in diminuzione, il problema diventa: chi dovrà stare fuori dal “mercato del lavoro”?

Esistono almeno tre categorie di persone cui pensare.

  1. Quanti (per motivi diversi e al di là dalle responsabilità personali) non si dimostrano adatti al lavoro in generale e ai lavori del futuro in particolare. Il loro allontanamento accrescerebbe la produttività, facilitando fluidità e adattabilità dei sistemi produttivi. Tutti noi conosciamo persone che vorremmo stipendiare purché restassero a casa. Cosa si fa con un ragazzo che non ha voglia di studiare? Lo si picchia, boccia ed espelle o si cercano modi diversi di renderlo e rendersi utile, magari in attesa che cambi idea?
  2. Chi non aderisce all’ideologia del lavoro, accetta una vita di sobrietà e pensa a modi diversi per dare il proprio contributo alla società, con quella che possiamo definire “attività = occupazione non retribuita”, liberamente scelta perché gratificante sul piano personale. E’ la stessa Costituzione che, all’art. 4, parla di attività da svolgere secondo “propria scelta”, per concorrere “al progresso materiale e spirituale della società”.Oltre al volontariato, possono esserne esempi: casalinghe, hobbisti, studiosi, artisti, perfino a scienziati che operino in rete. E’ ragionevole ritenere che tali categorie siano in aumento, soprattutto fra i giovani.
  3. Quei tradizionali “disoccupati” che vogliano riciclarsi in tempi non brevi.

Diviene così ipotizzabile un “sistema duale”, caratterizzato da due situazioni tra loro compatibili e, per molti versi, complementari:

  • il mantenimento dell’attuale sistema competitivo delmercato del lavoro;
  • l’accettazione di un sistema direddito minimo garantito, da precisare in quantità e composizione.

Fondamentale è che l’adesione ai due sistemi sia frutto di una scelta libera e modificabile nel tempo, con norme per il passaggio tra l’uno e l’altro.

Esistono due principali obiezioni alla seconda possibilità.

  1. Sarebbe il regno dei furbi.Per quanto l’ingordigia stia alla base della nostra idea di sviluppo, esistono innumerevoli persone serie, oneste, che si accontentano del necessario e preferiscono tranquillità e solidarietà a una competizione senza fine. Sono queste che assicurano la continuità di ogni sistema sociale. Gli studiosi del comportamento non hanno ancora deciso se l’egoismo prevalga sull’altruismo, né se si tratti di qualche “gene egoista” o di evoluzione culturale. In generale, non siamo animali pigri e preferiamo l’azione al vuoto mentale e fisico.  In ogni caso, diventa necessario un sistema di controlli.
  1. Non ci sono le risorse. Già oggi, in Italia, il numero di chi muore di fame o di stenti (quasi sempre conseguenza di disagi di natura personale) è vicino allo zero ed esistono sussidi che riguardano ben più della metà della popolazione. L’idea è che potrebbe bastare una razionalizzazione (certamente non indolore) dell’esistente; risorse aggiuntive potrebbero derivare anche da aumenti di produttività conseguenti a flessibilità non più considerate solo punitive o speculative. Alcune stime sono già state fatte (Boeri, Fumagalli) (2) e non sembrano sconfortanti.

Forse, il problema principale è culturale e riguarda l’accettabilità psicologica e sociale di chi può apparire (o si considera) come un parassita sociale. E’ un problema ideologico e quindi, fondamentalmente, educativo: della società nel suo complesso.

Per quanto concerne l’articolazione di diritti e oneri nei quali articolare una proposta accettabile, rimandiamo a un secondo intervento.

Ogni meccanismo sociale comporta diritti e doveri, vantaggi e costi, anche di natura diversa. Si sta parlando di reddito minimo e non di reddito di “cittadinanza”, né di un sostegno di disoccupazione. La forma più semplice è mettere a disposizione una somma di denaro, ma non è l’unica possibile.

Vediamo alcune possibili voci.

Entrata finanziaria (individuale o famigliare).    Accettando il rischio delle cifre tonde e soltanto per dare un’idea di grandezza, si può azzardare la cifra di 1.000 euro mensili per persona adulta.    Vanno valutate le conseguenze sull’incentivo a passare al regime di mercato: una cifra elevata lo mortifica; una troppo bassa non rende appetibile il regime di reddito minimo. Diventa cruciale il sistema formativo.

La casa.     La disponibilità di un’abitazione decente rimane una condizione di base per una vita accettabile. In termini assoluti, il patrimonio abitativo italiano appare vicino alla sufficienza: a fronte di 22 milioni di famiglie, esistono più di 27 milioni di abitazioni, dei quali oltre 5 non sono utilizzati. Il problema appare affrontabile sul piano normativo. Non è in discussione il diritto di proprietà ma soltanto un sistema di vincoli, magari garantiti dalla pubblica autorità.

Tariffe agevolate.     Per molti servizi, esse non aggravano i costi (ad es. trasporti o spettacoli pubblici). Analoghe considerazioni possono essere fatte per taluni servizi culturali, alcuni dei quali tendono a una gratuità di fatto, come nel campo della comunicazione informatica.

Disponibilità di taluni prodotti di largo consumo.     Parecchi prodotti hanno non solo bassi costi di produzione e distribuzione, ma anche qualità piuttosto omogenee.  Conservando una produzione concorrenziale affidata al privato, un acquisto e una distribuzione gestiti dal pubblico potrebbero mantenere prezzi molto contenuti per ben individuate fasce di utenti, lasciando nel contempo massima scelta tra prodotti analoghi. Questa non è altro che la logica dei GAS, i gruppi d’acquisto solidale.

Possibilità di limitate integrazioni di reddito.    Le “attività” delle persone che, per scelta, stanno fuori dai circuiti lavorativi possono fornire integrazioni di reddito anche non banali. Può essere il caso di numerose iniziative di natura creativa e artistica e, oggi, perfino scientifica.  Certo, serve un sistema di controlli, analogo a quello per il lavoro nero. In ogni caso, rilevare (per poi sanzionare) l’esercizio di un’attività sarebbe più facile che definire in termini monetari un reddito evaso da assoggettare a un’imposta.

Occorre pensare anche ai doveri. Se ne possono ipotizzare almeno tre.

  1. Lavoro obbligatorio, a chiamata, con limitate possibilità di rifiuto.

Una certa quantità di lavoro è un obbligo per ogni cittadino. Si pensi alle necessità legate a emergenze o a quelli che sono chiamati “lavori socialmente utili”. Si può prevedere una specie di “servizio civile” per periodi anche brevi e comunque per un totale prefissato (corrispondente a 3 o 4 mesi) di giornate/anno.  Tali lavori non devono essere necessariamente pubblici: in tal caso, le retribuzioni di mercato possono andare a formare dei fondi di garanzia e riserve finanziarie destinate a fini previdenziali e pensionistici.

  1. Impegno a non lavorare “in nero”.

I “furbi” vanno colpiti come gli evasori fiscali e con pene non soltanto pecuniarie.  Questo richiede un sistema di controllo che comporta un costo, ma il compito non dovrebbe essere impossibile.

  1. Socializzazione di parte della “attività” svolta.

L’attività, liberamente scelta, legata al reddito garantito è, per definizione, gratificante sul piano personale. Si tratta spesso di attività che rivestono utilità non solo individuali e che, in una certa misura, possono essere “socializzate”. Pensiamo, ad esempio, a quelle artistiche di una certa qualità oppure a quanto attiene alle espressioni dell’altruismo o della cura di persone, beni culturali o ambiente.

Scelta e temporaneità

La scelta di uno stile di vita non va fatta una volta per tutte. Il sistema duale lavoro-attività deve prevedere la possibilità di passare da uno all’altro con relativa facilità e per periodi piuttosto brevi (3 – 5 anni).

Una delle caratteristiche più marcate di un individuo che vive in una società complessa consiste nell’immagine di sé (identità) che tale situazione comporta e, in ogni fase della vita, può essere difficile rispondere alla domanda: “chi sono io, nella situazione in cui ora mi trovo?”

Oggi il fattore più influente appare quello economico ma altre sollecitazioni culturali stanno avanzando e crescendo d’importanza; e su queste trova fondamento l’ipotesi del regime di reddito minimo.

Le cose cambiano: il dilemma è tra progettarle o subirle.

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(1)  Gunnar Myrdal, L’obiettività nelle scienze sociali, Torino, Einaudi, 1973.

(2) Andrea Fumagalli,Il lavoro, male comune, Milano, Bruno Mondadori, 2013

(3) Tito Boeri, in particolare, articolo del 17.01.2006 in “lavoce@ info”.

 Sviluppo felice, 4 e 18/4/2016

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