Per cosa votiamo – 2. Per uscire dalla poverto nel mondo.

Oggi la crisi della politica è la crisi della democrazia rappresentativa.

Appare sempre più difficile, se non impossibile, svolgere una funzione istituzionale (anche per mancanza di forze) capace di contrastare i poteri forti globali degli organismi internazionali quali Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea, delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari che insieme determinano le politiche economiche nazionali, svuotando di contenuti qualsiasi pretesa “governabilità”  possibile.

L’inconsistenza delle proposte di politica economica di medio lungo termine dei contendenti e la scarsa qualità del personale politico in gara fanno il resto, cioè rendono irrilevante qualsiasi partecipazione alla corsa elettorale!

Ma i movimenti e la comunità della sinistra radicale hanno il dovere di svolgere la critica dell’esistente e mettere in moto processi di “disturbo” ed esperienze alternative al corso delle politiche attuali. E vorremmo fare nostre le parole di Guido Viale: “Non si deve scrivere l’elenco delle cose che faremmo «se fossimo al governo». Perché al governo non ci andremo. Per ora. Il nostro compito è avvalorare e diffondere la prospettiva di una inversione radicale delle priorità, sostenerla, renderla concreta con gli esempi, individuare e affrontare gli ostacoli che si parano di fronte. Un programma di opposizione deve indicare la strada per arrivare: non al governo, ma a governarci.”

Per facilitare questa scelta vogliamo inaugurare un percorso che permetta di raccogliere strumenti critici capaci di diventare rivendicazioni per movimenti e comunità in lotta.

Qui riportiamo un articolo de il manifesto nel quale si parla di povertà e fame nel mondo…

815 milioni di affamati

Sono sempre di più le persone vittime di malnutrizione. 155 milioni sono bambini, costretti a sopravvivere cercando il cibo tra i rifiuti. I dati alla Giornata dell’alimentazione
Marina Della Croce

Puja ha solo 11 anni ma sa già che deve darsi da fare se vuole sopravvivere. Così tutti i giorni esce dalla sua casa in India e si reca nella discarica vicina in cerca di cibo. Riuscire o meno a placare un po’ i crampi della fame dipende solo da quanti avanzi riuscirà a trovare in mezzo ai rifiuti. Per quanto difficile, però, la sua vita è più fortunata di quella di Jeyle che, in Somalia, a soli due anni è di fatto già condannato: è malnutrito e in ospedale non c’è posto per lui.
Al mondo ci sono 155 milioni di bambini colpiti da malnutrizione cronica. A denunciarlo è Save the Children che, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione indetta dalla Fao, l’Agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, ha allestito sulla scalinata di Trinità dei Monti a Roma 155 sagome di bambini con una sintesi delle loro storie. Un modo per attira re l’attenzione su un fenomeno in perenne crescita. Ad aggiornarne la dimensione è il direttore generale della Fao Graziano De Silva che, introducendo i lavori della giornata, ha parlato di 815 milioni di persone al mondo che nel 2016 hanno sofferto la fame. Solo un anno prima erano 795 milioni. «Alla base dell’aumento – ha spiegato De Silva – ci sono violenti conflitti presenti nel mondo e gli shock climatici», un fattore quest’ultimo sempre più determinante sull’insicurezza alimentare».
Di questo enorme esercito di persone che stentano ad alimentarsi fanno parte anche 240 milioni di migranti, «il 40 per cento in più rispetto al 2.000», ha proseguito De Silva ricordando anche il numero di sfollati interni, un grande movimento di persone, 740 milioni, che si spostano dalle aree rurali a quelle urbane». Cifre che, ricorda il direttore generale della Fao, «senza precedenti nella storia dell’umanità».
«La sfida – ha proseguito De Silva – è il diritto di ogni essere umano a qualunque latitudine. Per salvare le vite bisogna ricostruire ciò che sta intorno alle persone per una vita più dignitosa e rafforzare la resilienza delle comunità rurali. L’impegno globale è importante, ma non è ancora sufficiente. e i governi devono operare in maggiore solidarietà e determinazione».
Non mancano i segnali positivi. Come la storia di Sulinman che il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina racconta nel suo intervento: «Suleiman ha lasciato l’Africa anni fa in cerca di futuro. A Roma, con altri sette migranti da 5 paesi africani diversi, ha fondato una cooperativa agricola sociale, per produrre yogurt e culture biologiche. Ora collabora e ha anche aiutato aziende agricole italiane a sviluppare queste attività. Simbolico il nome scelto: Barikamà, ossia ‘resistente, resiliente’ in lingua Banbarà. Questo ci ricorda quanto sia importante scendere in campo a difesa dei lavoratori agricoli».
Per Martina «sconfiggere la povertà è un atto di giustizia, per questo dobbiamo lavorare insieme per garantire il cibo a tutti. La mancanza di equità porta al paradosso di 815 milioni di affamati da un lato, e uno spreco alimentare pari al 33 per cento del cibo prodotto globalmente dall’altro. Richiamo per questo il pensiero di Papa Francesco, che disse: ’Vorrei che ognuno percepisca la presenza dei volti delle donne e degli uomini che hanno fame’. La fame non e’ un dato statistico- ha proseguito il ministro – ma è fatta di storie: i migranti non sono un gruppo indistinto ma una somma di vite e di storie». Quindi la conclusione: «Tale situazione conferisce un compito, una responsabilità a tutti noi per combattere le disuguaglianze. Anche noi dobbiamo essere fino in fondo Barikamà, ‘resistenti’».

il manifesto, 17/10/2017

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